Questo breve articolo nasce da alcune mie riflessioni su come il lavoro sul movimento viene percepito dalle persone che non sono del settore, ma che magari si approcciano al movimento per avere un maggiore benessere.
Nella nostra società fondata principalmente sulla “distrazione”, dove la distrazione offre un rifugio temporaneo, “mettere attenzione” è decisamente contro corrente. Girare la testa dall’altra parte ed evitare accuratamente di guardare in faccia la situazione (qualunque essa sia), sembra la normalità, anche perché lamentarsi produce una soddisfazione immediata e di sfogo…senza però cambiare una virgola della nostra situazione. Mettere attenzione significa riflettere, farsi delle domande e quindi in questo contesto è un atto rivoluzionario.
Mettere il focus e puntare lo sguardo verso ciò che non funziona o che crea disagio o dolore è qualcosa che non tutti riescono a fare ed è comprensibile, in realtà però è il primo passo verso la consapevolezza, la presa di coscienza che ci permette almeno di iniziare un percorso per stare meglio. Il corpo è materia viva, si modifica e si adatta a seconda degli stimoli che gli diamo, il corpo è ricettivo a volte è persino più veloce della mente a sentire e rivelare benesseri e malesseri.
Spesso sono le nostre abitudini e la mancanza di ascolto verso noi stessi che ci hanno portato ad imporre al nostro corpo posture non proprio ideali, o abitudini di movimento non adatte a noi.
Abbiamo con il tempo inserito meccanismi e reazioni che non ci aiutano e che hanno costruito un corpo che poi si lamenta. Anni e anni di abitudini hanno prodotto un risultato che con un po’ di impegno e attenzione possiamo modificare in meglio, sempre che ci sia la volontà di farlo.
E qui arriva l’ostacolo: le abitudini non sono facili da sradicare e mi riferisco anche all’abitudine a pensare in un certo modo. Alla maggior parte delle persone questo pare un ostacolo insormontabile, guai a cambiare le abitudini, guai a cambiare uno schema (anche sbagliato), c’è il pericolo di non trovare più sé stessi. ci si potrebbe frantumare!
Persone che si sono costruite nel tempo in modo non funzionale delle abitudini e comportamenti che non portano a niente di positivo, vogliono continuare a mantenerle perché questo è quello che conoscono. Le abitudini sono rassicuranti, non si può pensare di sradicarle in modo immediato, ma nella mia esperienza di lavoro con il movimento ho visto persone fuggire al primo tentativo.
Che dire, se non si è pronti al cambiamento noi non possiamo fare molto, se non si apre uno spiraglio è difficile proporre percorsi. Sono consapevole che alcune persone rimarranno eternamente nel settore “distrazione-divertimento-intrattenimento” là dove la consapevolezza è un miraggio lontano, anzi è un elemento disturbante.
Ho sempre visto il mio lavoro come uno stimolo, un input educativo, che passa spesso attraverso un approccio creativo al movimento e che non può fare a meno della capacità di mettere attenzione. Con il Sistema Laban/Bartenieff il movimento ha sempre un lato funzionale ed uno espressivo quindi le due cose si sostengono a vicenda.
E’ importante coinvolgere le persone e accompagnarle verso un ascolto di sé stessi, facilitando l’espressione personale. Il movimento è comportamento, il nostro modo di muoverci, la nostra postura e i nostri dolori fisici parlano di noi, sarebbe ora che noi parlassimo con loro per cercare di invertire la rotta, ma…. ah già bisogna distrarsi!